PHILIP K. DICK

 

 

Philip K. Dick, LA CITTA' SOSTITUITA  1957

 La città sostituita (1957, ma scritto nel 1953) è uno dei primi romanzi di Dick e lo si percepisce bene. Perché è un romanzo ancora molto lineare, senza quel labirinto di intrecci che caratterizzerà i romanzi successivi. Qui ancora l’autore sembra incerto tra la fantascienza e il fantastico, in certi punti perfino fantasy. Lo si coglie fin dal titolo originale The cosmic Puppets con quella allusione alle marionette che dà un sapore quasi infantile per altro giustificato dal fatto che alcuni dei personaggi sono appunto ragazzini. D’altra parte si tratta pur sempre di un romanzo di Dick e quindi non è difficile cogliere già qui alcune delle sue ossessioni che poi diventeranno decisive in seguito.

 La storia in sé sembra abbastanza semplice: Ted Barton decide di tornare dopo vent’anni di assenza al suo paese natale. Lo spingono un po’dì di nostalgia e il desiderio di rivedere i luoghi della sua infanzia. Ma con grande sorpresa si rende conto che la sua vecchia città non esiste più, non è semplicemente cambiata è proprio diversa, strade, case, giardini, non c’è più nulla di quel che ricordava. La tranquilla cittadina di provincia sembra del tutto cambiata. Poi però le cose cominciano a farsi misteriose, perché scopre leggendo vecchi ritagli di giornale di essere morto di scarlattina all’età di nove anni. Ma ancor più sconcertante è la scoperta di non poter lasciare la città. A quel punto tutto scivola nel fantastico. Due ragazzini Peter e Mary con poteri straordinari, capaci di far animare dei pupazzetti d’argilla, i golem, capaci di comunicare con gli insetti, coi topi, coi serpenti. I due sono in lotta fra loro  per la conquista del potere nella città. Poi d’improvviso compaiono gli Erranti, sorta di fantasmi che passano per i muri delle case. E poi ancora due figure incredibili, immense, che si confondono con la terra, il cielo, il sole: da  una parte Ormzad e dall’altra Ahriman, il Bene e il Male. È su questa lotta che il romanzo si conclude, lasciando però alla fine lo spazio per un insolito, almeno per Dick, lieto fine.

 Le ossessioni mistiche sempre presenti in Dick, il contrasto universale tra il Bene e il Male, i poteri fuori del comune, sono tutti elementi tipici della narrativa dickiana. Qui sono inseriti nell’atmosfera della provincia americana nella quale i negozi di ferramenta, l’emporio, il fabbro, sono letti come una superficie che nasconde un’altra dimensione. È questo il gioco di specchi affascinante che Dick mette in scena (non dimentichiamo che il primissimo titolo del romanzo era A Glass of darkness, Uno specchio di tenebre): un’altra dimensione, un’altra realtà sottostante quella banale e comune che si vede. C’è un altro mondo sotto questo mondo, sembra essere il suggerimento dell’autore, ma in ogni caso, in questo mondo come in ogni altro, è sempre e comunque la battaglia tra il bene e il male che guida le sorti del nostro destino.

 

Philip K. Dick  DOTTOR FUTURO  1960

 Il romanzo Dottor Futuro (titolo originale Dr Futurity del 1960) è sicuramente , a mio modo di vedere, uno dei più originali e divertenti dei tanti romanzi dickiani anche se non è scevro dalle solite caotiche capriole nella trama, per altro in parte inevitabili visto che il tema è quello dei viaggi nel tempo e sappiamo bene che in questo campo i paradossi che si aprono sono infiniti.

 Il protagonista è Jim Parsons, un medico che improvvisamente coinvolto in un incidente d’auto si trova catapultato in una realtà futura. La prima parte del racconto è volta alla descrizione di questa strana società futura nella quale i maschi sono tutti sterilizzati e le nascite avvengono in modo artificiale, secondo un principio in base al quale il numero degli esseri umani viventi è sempre lo stesso, per cui ad ogni morte si mette in cantiere una nascita. Una forma di eugenetica conservativa gestita da una autorità centrale. Parsons scopre di essere stato  prelevato appositamente con lo scopo di riportare in vita un individuo morto trentacinque anni prima e conservato in una criostruttura. Perché nella società futura i medici sono stati cancellati, la morte è accettata senza alcuna remora, e persino prodotta senza scrupolo e senza pietà.

Egli dunque riesce a riportare in vita l’uomo e scopre che si tratta del capo di una specie di setta, un gruppo di persone che vorrebbero cancellare il predominio dei bianchi sul mondo americano. A questo fine hanno progettato di uccidere Francis Drake che nel XVI secolo ha imposto il dominio britannico sui territori del nord America.

Avendo scoperto il modo per muoversi liberamente nel tempo con delle apposite navicelle, l’individuo ha infatti cercato di uccider Drake ma è rimasto a sua volta ucciso da una freccia.

Parsons accompagna una spedizione che torna al momento della morte e scopre di essere stato lui stesso la causa del decesso.

Qui cominciano una serie di spostamenti avanti e indietro nel tempo attraverso i quale Parsons cerca di salvare se stesso. Non sveliamo tutti i risvolti narrativi e i tentativi davvero imprevedibili di manomettere il corso degli eventi, possiamo però rivelare che alla fine il nostro protagonista riuscirà a tornare a casa nella San Francisco del suo tempo.

Il futuro disegnato da Dick va detto, ha qui qualcosa di davvero inquietante, la perdita del senso della morte e della vita mostra un esempio, uno dei tanti, di società perfetta ma invivibile, alla quale egli sembra contrapporre una dinamica di rapporti imperfetta, il protagonista avrà alla fine due famiglie, una nel presente e una nel futuro, ma umana.

L’altro filone della narrazione introduce quasi una contro storia, l’idea cioè che il predominio dei bianchi colonizzatori a danno dei nativi sia fondamentalmente un atto di ingiustizia che meriterebbe di essere sanato, è molto insolita per l’epoca, ricordiamo che il romanzo è stato scritto alla fine degli anni ’50, quando una certa sensibilità rispetto ai nativi era ancora ben lungi dall’apparire e dominava invece l’epopea western del colonizzatore buono contro gli indiani cattivi.

Anche in questo caso Dick getta un seme che poi non si preoccuperà molto di far crescere. Ma si sa i semi, anche sotto la terra, prima o poi germogliano. 

 

Philip K. Dick  VULCANO 3  1960

In un mondo post-apocalittico, l'umanità ha deciso di affidare le redini del potere a un supercomputer chiamato Vulcano 3. Questo gigantesco cervello elettronico, nascosto nelle profondità della Terra, prende decisioni cruciali in ambito politico, economico e sociale, garantendo un ordine apparentemente perfetto.

Tuttavia, non tutti accettano passivamente questa realtà. Nasce un movimento di resistenza, i Guaritori, che predicano la distruzione di Vulcano 3 e il ritorno del potere nelle mani del popolo. Guidati da Padre Fields, i Guaritori rappresentano una minaccia per l'ordine stabilito e scatenano una serie di eventi che mettono in discussione il dominio della macchina.

Al centro della storia troviamo William Barris, un alto funzionario del governo mondiale. Diviso tra la lealtà al sistema e la crescente consapevolezza dei suoi limiti, Barris si ritrova a dover affrontare scelte difficili. Mentre cerca di comprendere le vere intenzioni di Vulcano 3 e le motivazioni dei Guaritori, si trova coinvolto in una pericolosa partita a scacchi che potrebbe determinare il destino dell'umanità.

 

Dick esplora le conseguenze di affidare il potere decisionale a una macchina, ponendo interrogativi sulla natura dell'intelligenza e sulla possibilità che le macchine possano superare l'uomo. La ribellione dei Guaritori rappresenta la lotta per liberarsi da un sistema oppressivo e ritrovare l'autonomia individuale.

I personaggi di Dick sono complessi e tormentati, costretti a confrontarsi con le proprie debolezze e i propri limiti. Come in molti altri romanzi di Dick, anche in Vulcano 3 la paranoia è un elemento ricorrente, alimentata dalla sfiducia nei confronti del sistema e dalla sensazione di essere manipolati.

Pubblicato nel 1960, Vulcano 3 è considerato uno dei romanzi più importanti di Philip K. Dick e un precursore di molte tematiche che sarebbero state esplorate in seguito, come l'intelligenza artificiale e la realtà virtuale.

Dick ci invita a riflettere sul rapporto tra potere e tecnologia, sulle conseguenze dell'eccessiva centralizzazione del potere e sulla necessità di trovare un equilibrio tra ordine e libertà.

Nonostante i temi complessi, Vulcano 3 è un romanzo avvincente e ricco di colpi di scena, che tiene il lettore incollato alle pagine fino all'ultima riga.

Vulcano 3 è un romanzo che invita alla riflessione e che continua a essere attuale anche a distanza di decenni dalla sua pubblicazione. Dick ci offre una visione inquietante ma affascinante di un futuro dominato dalle macchine, ponendo interrogativi che ancora oggi non hanno trovato una risposta definitiva.

Vale sicuramente la pena di leggerlo anche se talvolta gli snodi narrativi appaiono poco fluidi e un po’ artefatti.

 

Philip K. Dick, MR LARS SOGNATORE D'ARMI  1964

Continua il mio progetto di una lettura integrale di tutta l’opera di Philip K. Dick con questo romanzo del 1964, il cui titolo originale è assai diverso dalla versione italiana: The Zap Gun, espressione piuttosto oscura  che indica nella tradizione fantascientifica americana la pistola a raggio, un’arma del futuro che ha un ruolo particolare nella parte finale della narrazione.

Lo stesso Dick nel valutare questo suo lavoro distingueva una prima parte piuttosto confusa e una seconda molto più avvincente. Il lettore non può che concordare.

All’inizio infatti, non è ben chiaro lo sviluppo della narrazione, che vede protagonista Lars Powerdry un creatore di nuove armi che progetta cadendo in una specie di trance, un sonno profondo durante il quale vede e disegna i nuovi strumenti di guerra. Compare ben presto una antagonista Lilo Topochev, giovane ragazza dell’est che sembra ottenere gli stessi risultati  e in qualche caso addirittura anticipare Lars nelle sue invenzioni. Di fronte a un pericolo drammatico per l’umanità, l’arrivo di una flotta aliena che annienta una alla volta le grandi città del pianeta, Lars e Lilo sono chiamati a collaborare, a unire le forze per trovare un’arma in grado di sconfiggere gli alieni. 

Alla fine l’arma viene trovata, anche e in modo bizzarro, in un giuoco, La Creatura nel Labirinto, in grado di annebbiare le menti di chiunque, anche di un essere alieno.

Nell’intreccio si inserisce la storia d’amore di Lars e Lilo, resa più complessa dall’apparizione di un’amante parigina di Lars che finirà uccisa dalla stessa pistola con cui minaccia la rivale Lilo.

D’altra parte l’ambigua giovane russa tenta più volte di uccidere Lars in un groviglio di sentimenti inestricabile, fedele specchio della confusione affettiva dello stesso Dick.

Ma nella trama compaiono anche i vertici militari russi e americani rappresentati da due generali che giocano con i destini del mondo e dei personaggi come dei bambini giocherebbero con i propri giocattoli.

A complicare ulteriormente la trama si aggiunga la profusione di sigle, di acronimi, di neologismi ( i purioti, i beconsi, i santocci, i santori…) che ben si accoppiano con i numerosi infantilismi piazzati da Dick quasi a voler ribadire al lettore una fondamentale origine ludica di tutta la grande politica mondiale. Il gioco è infatti, a mio avviso, il vero protagonista nascosto di tutto il romanzo.

La parte finale in questo senso ruota intorno a quel divertimento da ragazzi, La Creatura nel Labirinto, nel quale una essere minuscolo cerca inutilmente di trovare l’uscita da un mondo labirintico ma nello sforzo porta i giocatori alla follia. Un gioco che rappresenta insieme la più straordinaria arma inventata dagli esseri umani e una folgorante metafora del potere.

In un mondo ancora dominata dalla guerra fredda Dick, per sua natura antipolitico, legge la realtà come un groviglio di infantilismi, di situazioni grottesche , di ossessioni paranoiche, di storture e di insensatezze. Perennemente preda di complottismi e di possibilità assurde, i suoi personaggi paiono tutti marionette, pezzi di un gioco che sfugge al controllo. Quello di Dick è un mondo dove i livelli di realtà sono definitivamente scompaginati.


 

Philip K. Dick,   NOI MARZIANI    1964

Scritto nel 1964 Noi marziani mette in scena un’ambientazione tipicamente fantascientifica, la vita su Marte. Tuttavia al di fuori di ogni trionfalismo, la situazione del pianeta è quella tipica del nostro pianeta, traffici confusi e illegali, contrabbando, speculazioni. Ed è proprio dal cinico affarista Arnie Kott potente capo del sindacato degli idraulici che si sviluppa la storia, dal suo desiderio di mettere mano su certi terreni e di controllare le risorse idriche del pianeta. Né Jack, il protagonista, né gli aborigeni marziani, i Bleekmen, possono fare qualcosa contro l’avidità dello speculatore. Ma in realtà tutto ruota intorno ad un bambino autistico Manfred, dotato della straordinaria capacità di vivere in un altro tempo, o meglio di vedere nel futuro. Proprio da questo dipenderebbe la sua incapacità di rapportarsi con le persone. Capacità che un altro imprenditore senza scrupoli, Leo Bohlen intende sfruttare per una speculazione edilizia.

Il conflitto tra i cinici faccendieri Leo e Arnie è dunque solo lo sfondo, il vero interesse di Dick va chiaramente alla figura del bambino autistico, e l’interesse per il tema della follia, della schizofrenia, della malattia mentale sembra essere  quello che cattura più profondamente l’autore e che sovrasta una fitta trama di personaggi e di vicende difficile da riassumere.

Il romanzo ha il suo culmine nell’omicidio di Arnie, ma soprattutto nella riapparizione di un Manfred anziano tenuto in vita artificialmente da un complesso macchinario, che sembra aver ormai preso del tutto consapevolezza della sua capacità di muoversi nel tempo.

Come sempre il lungo romanzo di Dick è infarcito di momenti, personaggi, vicende, non sempre essenziali. Come nel suo stile è difficile indicare il centro propulsivo della narrazione, e l’ispirazione dello scrittore pare continuamente spostarsi da un capo all’altro delle vicende e dei personaggi. Ma chi ama Philip Dick lo sa, l’autore più che narrare una storia rappresenta un mondo, e alla fine ciò che resta è la sensazione di profonda desolazione : la Terra è invivibile,  ma anche su Marte si sono replicate le stesse condizioni che hanno portato alla rovina il nostro pianeta. I sentimenti dominanti sono sempre negativi, fatta eccezione per il bambino autistico, il solo che dall’alto della sua distanza e della sua incapacità di comunicare sembra restare in contatto con la natura più autentica e profonda dell’uomo. Non a caso alla fine ricomparirà insieme ai Bleekmen, gli aborigeni marziani sterminati dai colonizzatori.

Il protagonista anch’egli ossessionato dalla schizofrenia, risulta sempre debole e incerto fondamentalmente estraneo a ogni possibilità di affermazione o di redenzione.

Noi marziani, non è forse il miglior romanzo di Dock ma certamente è un tassello fondamentale per comprendere a fondo le sue ossessioni. 

 

Philip Dick LA PENULTIMA VERITA’ 1964

 “La penultima verità” (The Penultimate Truth) di Philip K. Dick è un romanzo di fantascienza distopica pubblicato nel 1964.

La storia si svolge in un futuro apocalittico in cui la Terra è stata devastata da una guerra nucleare. Gli abitanti sopravvissuti vivono nei cosiddetti “formicai”, enormi villaggi sotterranei costruiti per proteggersi dalle radiazioni. Qui producono androidi chiamati “Plumbei” per combattere la guerra contro il Bloc-Pop, l’Unione Popolare (URSS e Asia), anche se in realtà la guerra è già terminata da tempo e i capi delle due parti si sono accordati per spartirsi la superficie. La classe dirigente delle Dem-Occ, composta dagli uomini-Yance, pochissimi privilegiati, vive sulla superficie trasformata in un giardino, e usa i Plumbei come servitori fedeli. Il presidente-fantoccio Talbot Yance, un simulacro meccanico, continua a far credere agli abitanti dei formicai che la guerra è ancora in corso tramite false immagini di battaglia trasmesse dalla televisione. Tuttavia alcuni uomini dei formicai riescono  a tornare in superficie. Quando il dittatore Stanton Brose sospetta che il costruttore di condomini Louis Runcible sia responsabile della fuga di notizie, elabora un piano per incastrarlo. Ma le cose prendono una piega inaspettata, e il poliziotto privato Webster Foote si trova cfantascienza, distopiaoinvolto in una serie di omicidi. 

"La penultima verità" è, come tipico di  Philip K. Dick, un romanzo distopico sovraccarico di storie. Le linee narrative si intrecciano e spesso si fatica a comprendere quale sia la linea principale:  certo egli dipinge un futuro cupo dove l'umanità, costretta a vivere in questi profondi "formicai" sotterranei è controllata da un regime oppressivo che sfrutta e manipola la popolazione.

La verità è stata distorta e manipolata. Il regime diffonde la propaganda di una guerra in superficie ancora in corso contro i nemici, usandola per giustificare il controllo ferreo e la produzione di armi. In realtà, la superficie è abitabile, ma questa informazione è gelosamente custodita dai potenti.

Gli abitanti dei formicai vivono in condizioni di miseria, lavorando instancabilmente per la macchina da guerra. La loro esistenza grama è resa ancora più opprimente dalla costante sorveglianza e dalla repressione di ogni dissenso.

In questo scenario disperato, alcuni individui iniziano a dubitare della propaganda ufficiale e a cercare la verità. Tra questi c'è Nicholas St. James, il capo di un formicaio che, spinto dalla ricerca di un organo vitale per salvare un amico, si ritrova catapultato in superficie.

Salito in superficie, Nicholas scopre un mondo rigoglioso e sorprendentemente diverso da quanto raccontato dalla propaganda. Questa rivelazione lo spinge a mettere in discussione tutto ciò in cui ha sempre creduto.

Approfondendo le sue indagini, Nicholas entra in contatto con un gruppo di ribelli che combattono per smascherare le menzogne del regime e liberare l'umanità dall'oppressione. Nicholas si trova di fronte a una scelta cruciale: restare al sicuro nel formicaio ignorando le ingiustizie, o unirsi ai ribelli e lottare per un futuro migliore, rischiando la propria vita.

Il romanzo esplora i temi del controllo sociale e della manipolazione della verità da parte di un regime totalitario. La propaganda viene utilizzata come strumento per mantenere il potere e tenere la popolazione obbediente. La realtà percepita dai protagonisti è distorta dalla propaganda e dalle loro esperienze limitate. La ricerca della verità diventa un percorso di scoperta e di messa in discussione delle proprie convinzioni. Di fronte a un sistema oppressivo, gli individui si trovano a dover scegliere tra l'adattamento passivo o la lotta per il cambiamento. La scelta del protagonista rappresenta la speranza di un futuro libero dalla menzogna e dalla tirannia.

"La penultima verità" è un romanzo avvincente e ricco di spunti di riflessione che invita a interrogarsi sulla natura della verità, sulla manipolazione dei media e sul potere dell'individuo di resistere all'oppressione.

Oltre alla trama principale, il romanzo è ricco però di personaggi secondari ben delineati e di storie intrecciate che arricchiscono la narrazione e offrono diverse prospettive sulla realtà distopica descritta. Dick, con la sua maestria narrativa, crea un'atmosfera densa di suspense e di mistero, mantenendo il lettore incollato alle pagine fino all'imprevedibile epilogo.

Se dovessi riassumere con una formula un romanzo così magmatico lo definirei: un’epopea del vero e del falso.  E per questo mi pare di grandissima attualità.

 

Philip K. Dick  Le tre stimmate di Palmer Eldritch 1964

 Sicuramente Le tre stimmate di Palmer Eldritch scritto da Philip Dick nel 1964, anno tra i più fecondi della sua carriera, rappresenta uno dei vertici della magmatica e inarrestabile creatività dell’autore.

Qui è particolarmente distopica l’ambientazione: il mondo circostante è ormai invivibile, la Terra soffocata da una temperatura che la rende invivibile e bombardata da un sole assassino, ma anche Marte appare come uno sterile deserto rosso abitato da esseri umani stravolti rinchiusi nei loro tuguri e costretti, quasi condannati, ad adattarsi a un simile ambiente impossibile.

E l’esistenza delle persone non appare meno devastata. Domina un oscuro sentimento di sconfitta. Unica via d’uscita la droga. In questo inferno capitalista, dominato dagli affaristi, dalla speculazione, dalla trasformazione dei cittadini in clienti, si fronteggiano due forze, entrambe maligne: da un lato Palmer Eldritch, quasi un cyborg, con gli occhi artificiali, un braccio meccanico, i denti metallici, il quale porta da sistema di Proxima una nuova sostanza allucinogena, il Chew-Z che vuole imporre sul mercato ai danni dell’altro capitalista spietato Leo Bulero giù monopolista di un’altra droga il Can-D che ha l’effetto di immedesimare coloro che lo assumono con due personaggi di finzione, due bambolotti in un plastico che possono vivere la vita spensierata di una coppia ricca e felice in un ambiente idilliaco.

In questo contesto il protagonista Barney Mayerson, prima aiutante di Bulero, poi per un ricatto, restio collaboratore di Palmer Eldritch, viene scaraventato su Marte e resta preso dall’effetto del Chew-Z che tra l’altro deforma completamente l’assetto temporale dell’esistenza e rende alla fine del tutto incapaci di distinguere la realtà dalla finzione.

A questa ossatura narrativa vanno associati molti materiali di contorno, le avventure sessuali di Barney, le terapie di espansione chimica del cervello per realizzare esseri umani super intelligenti, la capacità di Palmer Eldritch di assumere qualsiasi forma, i poteri pre cognitivi di Barney ma soprattutto l’afflato mistico che domina tutta la parte finale del romanzo. Palmer Eldritch infatti finisce per assumere, e non è chiaro se si tratti di ironia o di persuasione, tutte le forme, è capace di occupare ogni luogo, di muoversi liberamente nello spazio e nel tempo assumendo la natura di uno spirito santo capitalistico, che vende una merce di cui non si può fare a meno a degli esseri umani ormai privati di qualsiasi capacità di raziocinio, incapaci di difendersi in questa lotta tra le forze del capitalismo in cui le persone non sono altro che una nuova merce di scarto in un processo consumistico che, da sempre, è uno dei bersagli della narrativa dickiana.

Le tre stimmate di Palmer Eldritch come le chiama l’autore, la mano morta, artificiale, gli occhi a fessura, la mascella deforme, ci suggeriscono infatti una sua beatificazione. Parlando proprio della “cosa” Palmer Eldritch, che non è più solo umano, due personaggi affermano:“Quella cosa ha un nome che riconoscereste se lo pronunciassi. Anche se non userebbe mai qual nome per sé. Siamo noi ad averla chiamata così. Per esperienza, a distanza, nell’arco di migliaia di anni. Ma prima o poi dovevamo trovarcela davanti. Senza la distanza. O gli anni.

Ti riferisci a Dio?

Non gli parve indispensabile rispondere, tranne che con un leggero cenno del capo.”

Difficile immaginare una conclusione più impegnativa di questa.

 

Philip Dick I SIMULACRI  1964

Una delle caratteristiche più evidenti dei romanzi di Philip Dick è quella di essere costruiti attraverso un intreccio di linee narrative non sempre ben composte ed equilibrate, è così anche in questo “I simulacri” pubblicato nel 1964. In questo lavoro, per esempio, troviamo una serie di spunti narrativi da cui si sarebbero potuti trarre almeno tre o quattro diversi romanzi.

L’ambientazione è nel XXI secolo, in un’ipotetica unione tra gli Stati Uniti d’Europa ed America. Questo stato è governato dal partito unico Democratico-Repubblicano, con il presidente noto come Der Alte e la First Lady Nicole come vero motore del potere. Il romanzo è corale, con una serie di personaggi che si muovono tra complotti di stato, lotte di potere,  corporazioni e conflitti sociali, tra una élite privilegiata, la popolazione GE, e la massa, la popolazione BE.

La trama ruota attorno a numerose vicende: Le trame politiche ordite dai governanti degli USEA (Stati Uniti d’America e d’Europa), con un cambio di presidente che in realtà è un simulacro, cioè un androide perfettamente somigliante a un essere umano. La spietata concorrenza tra industrie che costruiscono i simulacri presidenziali. La progressiva distruzione della psiche del pianista telecinetico Kongrosian, che suona senza muovere le mani , e che soffre di stranissime malattie mentali, che corrispondono però a dei superpoteri.

Le disavventure di due suonatori di anfora, Ian Duncan e Al Miller, che passano dall’oscurità alla celebrità quando sono invitati a esibirsi alla Casa Bianca.

Le oscure macchinazioni di Bertold Goltz, fondatore di un movimento neonazista chiamato i Figli di Giobbe. Un rivenditore di Cataste di Catorci, missili usati con i quali ci si assicura un viaggio su Marte, pianeta che è stato colonizzato.

La presenza di uomini di Neanderthal nella California settentrionale, noti come chupper. Una legge abolisce gli psicanalisti (le malattie mentali si curano solo con i farmaci), ma fa eccezione il Dott. Superb. Le autorità vogliono che curi qualcuno sapendo che non potrà mai guarirlo. Le autorità infatti sono in possesso dell’apparecchio von Lessinger: una macchina del tempo dalla quale possono ricavare i futuri possibili. E con la quale riportano al presente il gerarca nazista Goering. La vita nei “condomini” che sono come delle città stato.

In questo folle paesaggio distopico, assistiamo a una congiura del capo della polizia in combutta con la più grande industria farmaceutica. D’altra parte si scoprirà che il paese è governato in realtà proprio dal capo della setta nazista.

Si scatena così una guerra senza quartiere tra polizia e esercito di cui forse, ma questo resta sullo sfondo, approfitteranno i Neanderthal.

Il romanzo mette in scena temi come la realtà, l’illusione e il potere, “L’intero sistema di potere – scrive Dick – è un inganno” (247). E si sviluppa attraverso una narrazione zigzagante e una ricca galleria di personaggi umani e artificiali.  Alla fine il lettore ha la sensazione di essere entrato in un mondo altro, diverso, per molti versi inconcepibile, ma che conserva inesorabile le tracce di questo nostro mondo dal quale, in fondo, deriva, e ne replica il caos.

 

 Philip K. Dick, CRONACHE DEL DOPOBOMBA  1965

 Considerato dalla critica uno dei romanzi più riusciti di Dick, Cronache del dopobomba (1965) certamente rappresenta uno dei vertici della sua capacità di mescolare e ibridare generi e modelli, senza farsi mai ingabbiare dalle formule classiche della Fantascienza, né da quelle del Fantasy o del racconto fantastico o di magia. Dick si trova sempre un passo oltre, un passo al di là, o al di qua, di ogni genere.

Il motivo ispiratore del romanzo è l’angosciante senso di catastrofe ispirato dal pericolo atomico, percepito in quegli anni come costantemente imminente e reale.

L’inizio infatti racconta proprio l’evento dell’apocalissi atomica che mette in ginocchio l’intera civiltà americana e la costringe a una lenta e faticosa ripresa. I sopravvissuti uomini e animali subiscono mutazioni imprevedibili. Compaiono, uno dopo l’altro personaggi bizzarri e inquietanti: topi che suonano il flauto con il naso e che sanno tenere la contabilità di un’azienda, cani che parlano, anche se restano piuttosto ingenui e sempliciotti; e poi c’è Hoppy un giovane focomelico privo di braccia  e di gambe ma dotato di poteri straordinari, assassino quando serve, imitatore di ogni voce, intrattenitore; e una bambina che porta dentro di sé un fratellino mai nato, Bill, con il quale intrattiene lunghe conversazioni e che a sua volta è dotato del potere di sentire la voce dei morti, ma anche di quello di trasferirsi in altri corpi; e ancora c’è un uomo di colore, venditore di trappole intelligenti per animali selvatici. Su tutti domina la figura di Walt Dangerfield, un astronauta rimasto bloccato nella sua capsula dall’evento nucleare, impossibilitato a tornare e costretto a ruotare all’infinito intorno al pianeta. La sua compagna non ha resistito e si è data la morte, lui continua a girare, pur ormai molto provato fisicamente, trasmettendo al pianeta musica classica e qualche amara considerazione personale, come una specie di Dj cosmico.  E ancora c’è l’ironica macchietta dello psicanalista Stockstill che cerca di curare a distanza il povero astronauta con le libere associazioni. C’è soprattutto Blutgeld, lo scienziato pazzo che si ritiene responsabile dell’olocausto nucleare e nella sua completa paranoia sembra volerlo replicare. E poi una pletora di altri personaggi che esiteremmo a definire “normali” visto che l’intera narrazione sembra essere segnata da quella sensazione  “perturbante” che Freud ci ha insegnato a leggere come un l’ombra inquietante della normalità.

L’ambiente è quello post apocalittico. Una società  che finge una impossibile quotidianità, dove il denaro ha lasciato il posto al baratto, le auto si muovono trainate da cavalli, e gli esseri umani sopravvivono in piccoli gruppi stretti attorno alle loro poche cose, ai loro riti di sopravvivenza, apparentemente senza un potere centrale, senza una precisa articolazione della giustizia e della vita pubblica. 

In un certo senso sembra proprio la normalità ciò che tutti cercano, dalla prima scena che fissa il momento che precede l’esplosione, all’ultima, nella quale i personaggi positivi della storia cercano di ritrovare un modus vivendi pacificato.

Magmatico, imprevedibile, fuori scala rispetto a ogni aspettativa, il romanzo di Dick spiazza continuamente il lettore. Mai prevedibile, mai scontato, non c’è una trama riassumibile in modo piano, c’è una continua narrazione di fatti, personaggi, dialoghi, che costringe il lettore a entrare in un mondo, a osservarlo, stupito e talvolta infastidito dalla inconciliabile dissonanza della realtà.

 

Philip K. Dick, ILLUSIONE DI POTERE  1966

Nel vasto panorama dei romanzi di Philip K. Dick, Illusione di potere (1966) non è certo al vertice, eppure la forza narrativa, la creatività, l'imprevedibilità del grande creatore di mondi immaginari compare anche qui e lascia il segno.
Il protagonista Eric Sweetscent medico specializzato in trapianti lavora al servizio di un uomo ricchissimo che a furia di interventi è già arrivato a centotrenta anni. E' ossessionato da una moglie insoppportabile che fa uso massiccio di droghe. Vivono in un'epoca travolta dalla guerra tra terrestri, stariani, che sono simili ai terrestri e reeg che hanno invece forma di insetti. A dispetto delle apparenze però gli stariani sono avidi, feroci e disumani, molto chiaramente nazisti, mentre i reeg sono tranquilli, pacifici e umani.
La vicenda si snoda a partire dall'uso di una nuovissima droga che ha effetti terribilmente tossici ma consente di viaggiare nel tempo. Il protagonista si trova a curare il Segretario delle Nazioni Unite, massima autorità terrestre, Gino Molinari, un dittatore da operetta, chiaramente ispirato a Benito Mussolini, che avendo abusato della droga è gravemente malato ma riesce a sfruttare altre versioni di se stesso recuperate da altre dimensioni spazio temporali.
Spicca chiaramente nel romanzo il fatto che nessuno vi appaia come personaggio positivo oltre al protagonista, e paradossalmente un taxi robot che è anche l'unico con cui Eric riesce ad avere una conversazione umana. Le pagine più travolgenti sono forse quelle in cui entra in gioco la droga allucinogena, certo anche per l'esperienza personale di Dick, ma tutto il romanzo gioca sul rapporto tra presente e passato, tra dimensioni temporali diverse e diverse versioni della realtà, in un intreccio vertiginoso e indistricabile.
Alla fine il protagonista che cerca di orientarsi in questo labirinto senza riuscirci si riscatta solo per via di un finale accento di umanità: restare ad accudire la moglie che nel frattempo è impazzita.
Quel che Dick non ha fatto nella realtà, come sappiamo. Forse è per questo che egli ebbe sempre un rapporto difficile con questo romanzo che gli indicava la via che nella vita non era riuscito a seguire. 

 

Philip K. Dick, GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRICHE?  1968

 Vorrei provare a fare una recensione di questo romanzo senza alcun riferimento né diretto né indiretto al film che lo ha reso celebre ma allo stesso tempo ne ha, secondo me, un po’ offuscato la complessità che è invece il suo tratto distintivo, come sempre per altro accade nelle opere di Philip K. Dick.  

Il romanzo infatti si gioca su diversi piani, ne possiamo individuare almeno tre ben distinti: c’è prima di tutto la storia del cacciatore di androidi Rick Deckard e del gruppo di androidi fuggiti da Marte che egli deve annullare. In realtà, nonostante le cautele linguistiche (si parla sempre di “ritirare”, mai di eliminare) di fatto l’azione non si distingue da quella di un vero e proprio assassinio.  Ma la narrazione si gioca su una profonda e complessa ambiguità. Perché Rick Deckard finisce per andare a letto con l’androide Rachel una donna bella e intelligente, rassegnata essenzialmente al proprio destino. E poi c’è un problema che si ripete continuamente: come identificare l’androide? Essi sembrano umani in tutto e per tutto, ci sono solo due tecniche di riconoscimento, non perfette, evidentemente, entrambe basate sul fatto di  riconoscere nell’androide una assoluta impossibilità di provare sentimenti di empatia nei confronti degli altri. Dunque ciò che distingue l’umano dall’artificiale è soltanto questo: saper provare empatia, ma gli androidi dell'ultima generazione sono così sofisticati che ogni prova è dubbia. Ne abbiamo il sospetto dal racconto di una vicenda collaterale, quella del povero John Isidore, un “cervello di gallina”. Perché bisogna precisare: la società del futuro che qui viene descritta è una società divisa rigidamente tra persone dotate e persone che hanno un “cervello di gallina” come viene più volte ribadito, quasi si trattasse di una diagnosi clinica. John Isidore nella sua semplicità e immediatezza aiuta gli androidi in fuga senza farsi troppe domande. Egli non si preoccupa che siano umani o meno, prima di tutto perché “sembrano umani”. E su questo si gioca l’ambiguità. 

 C’è però anche una seconda linea tematica, quella che riguarda il bizzarro rapporto con gli animali. La società, inquinata profondamente, ha determinato l’estinzione quasi completa delle specie animali, ma al contempo ha imposto che ogni umano si faccia carico di un esemplare animale. Ed è un punto di onore e di distinzione. Chi non può permettersi un animale vero si accontenta di uno meccanico:  nel caso del nostro Rick Deckard si tratta infatti di una pecora elettrica (ciò spiega in parte il senso del titolo). Rick si darà tanto da fare nel cacciare gli androidi proprio per poter guadagnare abbastanza da poter acquistare un animale in carne e ossa, cosa che poi accadrà. Egli diventerà proprietario di un capra. L’animale però farà una brutta fine, verrà uccisa da uno degli androidi che vuole colpirlo in ciò a cui tiene di più. Forse questa ossessione può spiegarsi proprio con l’esigenza del “prendersi cura” intesa come la prova della capacità di immedesimarsi negli altri esseri viventi, si torna cioè anche in questo alla questione dell’empatia che, un po’ alla volta, intrecciandosi con le diverse tematiche, finisce per apparire come il vero e proprio asse centrale di tutto il romanzo. 

La terza linea tematica è quella che riguarda il rapporto con la donna. Da un lato la moglie con la quale i rapporti sono gestiti attraverso l’uso di uno strano apparecchio che consente di provare sensazioni a comando; dall’altro l'androide Rachel con la quale egli ha una relazione sessuale che sembra ispirata, più che dall’amore, dal desiderio di conoscere un mondo che gli è sconosciuto e incomprensibile. Da un lato dunque la freddezza e  mancanza di emozioni naturali è surrogata dalla macchina che le produce artificialmente, dall’altro l’androide, cioè una macchina, che sembra inopportunamente provare delle emozioni. 

Tra i tanti romanzi di Dick questo è giustamente uno dei più celebrati perché la creazione del contesto è solida e coinvolgente: una società malata, un mondo in sfacelo, buona parte della narrazione è ambientata in un grande condominio abbandonato, nel quale si percepisce perfettamente la distruzione dei rapporti sociali e affettivi, la mancanza di qualsiasi preoccupazione per l’altro, una vita senza futuro, dove il prendersi cura, che dovrebbe caratterizzare l’umano, è finalizzato, invece, a quel poco che resta del mondo animale. Senza che questo costituisca in alcun modo un valore morale, quanto piuttosto una forma di distinzione, uno status. Anche la cura è diventata una merce e dipende dalla disponibilità economica.  

Deve farci riflettere che una simile visione di un futuro radicalmente distopico sia apparsa proprio nel 1968 ovvero nel pieno di un’ondata di cambiamenti sociali, politici, culturali, sulla spinta di una “rivoluzione  dei costumi” cui certo Dick non fu estraneo. Ma è compito dello scrittore quello di vedere in anticipo dive porteranno certe linee di sviluppo del proprio tempo. E Dick aveva la vista lunga.

 

 Philip K. Dick, GUARITORE GALATTICO  1969

"Guaritore Galattico" è un romanzo di Philip K. Dick che ci trasporta in un futuro dominato da un regime oppressivo, dove un uomo, Joe Fernwright, riparatore di vasi rotti, si trova coinvolto in un'avventura cosmica dai risvolti esistenziali.

Joe Fernwright è un uomo comune, alle prese con le difficoltà della vita quotidiana e con un profondo senso di insoddisfazione. Un misterioso essere alieno, dotato di poteri quasi divini, recluta Joe per un'impresa titanica: sollevare dal fondo del mare una cattedrale antica e ricostruirla.

Joe si ritrova a viaggiare tra mondi diversi, incontrando creature bizzarre e affrontando situazioni surreali. Il romanzo si pone interrogativi profondi sulla natura della realtà, il significato della vita, il ruolo della fede e la libertà individuale.

Come molti romanzi di Dick, "Guaritore Galattico" dipinge un quadro cupo di una società futura dominata dal controllo e dalla manipolazione.  Joe, come molti personaggi dickiani, è alla ricerca di un significato più profondo nella sua esistenza, di una verità ultima che possa dare un senso alla sua vita.

L’essere alieno rappresenta una figura ambigua, a metà tra un dio e un manipolatore, che pone interrogativi sulla natura del potere e della divinità. Dick, come al solito, mette in discussione la natura stessa della realtà, suggerendo che ciò che percepiamo potrebbe essere solo un'illusione.

Lo stile inconfondibile di Dick è qui perfettamente rappresentato : non c’è  una trama lineare e facilmente prevedibile. "Guaritore Galattico" è un romanzo complesso, ricco di simbolismi e di sfumature, che richiede un'attenta lettura e una certa apertura mentale. Ma è facile godere delle sue atmosfere inquietanti e dei suoi personaggi complessi.

La mia personale convinzione è che il romanzo, come spesso accade soprattutto negli ultimi scritti di Dick  è in fondo una grande metafora attraverso la quale egli cerca di fare luce – senza riuscirci – nell’oscuro mondo dei rapporti tra Inconscio e coscienza, tra individuo e collettività, tra predestinazione e libero arbitrio. Cercando di maneggiare temi delicati  come l’anima, l’ombra, il doppio. Tutta la parte finale mette in scena il faticoso e contradditorio percorso che il soggetto deve compiere per squadernare il mondo inquietante dell’interiorità nascosta, il mondo del rimosso, delle pulsioni sepolte, ecc.

È un romanzo ricco di analisi e di spunti di riflessione. Non è un caso che sia infarcito di citazioni colte, dal Faust di Goethe alla poesia di Keats.

Se amate la letteratura di Philip  Dick, questo è un romanzo da non perdere.

 

Philip K. Dick,  NOSTRI AMICI DA FROLIX 8   1970

Se c’è una caratteristica costante dei romanzi di Philip Dick è che sono imprevedibili, qualsiasi vicenda vi si racconti si espone alle più complicate variazioni, fuori di ogni luogo comune narrativo e spesso anche fuori dei confini di  genere. Così è anche in questo romanzo tutto centrato su un protagonista antieroico, Nick Appleton, che sogna soltanto un avvenire migliore per suo figlio in un mondo profondamente corrotto, diviso tra gli Uomini Nuovi che hanno diritto ai posti di comando e gli Uomini Vecchi cui spetta solo il destino della subalternità. Fra i primi si annoverano mutanti, telepati, precog, informatici, cervelloni con una testa enorme sulle spalle.

Alla vicenda famigliare di Nick si sovrappone inaspettatamente tutt’altra storia, quella di Thors Provoni, un eroe partito dalla terra per cercare aiuto e che dopo molto tempo si accinge a tornare in compagnia di un essere alieno proveniente dal pianeta Frolix 8, una sorta di ectoplasma privo di forma che avvolge la navicella, ma con il quale si svolgono interessanti conversazioni. Non sono ben chiare le intenzioni di Provoni e dell’amico alieno, ma è certo che sulla terra il suo ritorno è temuto dalle autorità e atteso come un evento messianico dall’opposizione, gli Uomini Nascosti che si oppongono al sistema e che, a rischio della propria vita, diffondono materiale propagandistico.

Nick si trova coinvolto al punto da lasciare moglie e figlio, che scompaiono dalla narrazione, per seguire le sorti di una ragazzina incontenibile di cui si è invaghito e che diffonde materiale propagandistico clandestino a sostegno di Provoni

Nonostante i tentativi di annientamento messi in campo dal Governo, Provoni e l’alieno riescono ad atterrare a Central Park. Protetto dall’alieno che oscura le menti degli Uomini Nuovi con un’onda telepatica,  Provoni può così attuare il suo piano di impadronirsi del potere.

Dick lascia il finale aperto, possiamo solo immaginare il seguito. Al lettore resta l’immagine tipica delle sue narrazioni : un conflitto tra i detentori dell’ordine e coloro che invece vorrebbero uscire da ogni vincolo e da ogni regola, uno scontro che non trova mai una composizione certa, ma che resta sempre nell’aria come irrisolto e forse irrisolvibile. Tuttavia qui comincia ad apparire quella oscura tensione mistica che porterà alla trilogia finale di Valis. Inutile negarlo, l’alieno di Frolix 8 ha giù l’aspetto di una divinità onnipotente e indecifrabile, e Provoni alla fine sembra esserne soltanto un profeta. 

 

 Philip K. Dick,L'ANDROIDE ABRAMO LINCOLN 1972

Scritto nel 1962 ma pubblicato solo dieci anni dopo, è un romanzo che gira in modo abbastanza disordinato intorno ad alcuni temi classici della narrativa di Philip Dick. Ciò non deve stupire, io d’altra parte ho sempre immaginato i romanzi di Philip Dick come un unico grande affresco, è così che mi spiego il traballare delle trame, la mancanza di equilibrio dentro le singole opere, la presenza di personaggi ricorrenti e di tematiche che si inseguono da una pagina all’altra.

Questa ipotesi mi appare ancora più evidente leggendo L’androide Abramo Lincoln (We Can Build You).

La storia, ambientata nel 1982, ci racconta di Louis Rosen, un produttore di organetti, che cerca di mettere sul mercato un nuovo prodotto, degli androidi, costruiti da un progetto di Pris Rock, la figlia del socio: una replica esatta di due personaggi famosi della storia americana: Abramo Lincoln e  Edwin M. Stanton, il suo ministro della Guerra. Si tratta di due esseri sintetici ma esattamente simili ad esseri umani, anche nella capacità di avere sentimenti e di produrre analisi e riflessioni articolate. Risulta infatti assai arduo distinguerli da persone vere e proprie. Il solo compratore è un milionario avido e corrotto che progetta di usare gli androidi per colonizzare la luna.

I due androidi appaiono però difficili da gestire proprio perché replicano i caratteri non facili degli originali. Il protagonista è travolto da una storia d’amore con la giovanissima Pris, una diciottenne molto problematica, uscita dall’ospedale psichiatrico e schizofrenica. Progressivamente sembra che tutti i personaggi del romanzo finiscano per manifestare i segni di squilibrio mentale.

D’altra parte l’America descritta appare dominata proprio dalla malattia mentale, case di cura ovunque, leggi che impongono controlli serrati, lo stesso protagonista non supera un test ed è ricoverato in clinica. Qui verrà sottoposto a esperimenti a base di droghe allucinogene nel corso delle quali sognerà  di possedere la ragazza e di vivere una vita matrimoniale con lei.

 

Non è certo il romanzo più riuscito di Dick ma sicuramente è molto emblematico delle sue ossessioni, prima fra tutte l’incertezza nello stabilire un confine sicuro tra normalità e follia. Allo stesso modo appare labile il confine tra l’uomo e la macchina, tra naturale e artificiale. A questo proposito è  il casi di leggere come Dick presenta il risveglio alla vita dell’androide: “Al di là di ogni possibile dubbio, stavamo assistendo alla nascita di una creatura vivente. Adesso aveva cominciato ad accorgersi della nostra presenza; i suoi occhi, neri come l’inchiostro, si spostarono in su e in giù, a destra e a sinistra, inglobandoci tutti quanti, una carrellata dei presenti. Da quegli occhi non trapelava alcuna emozione, solo la percezione di noi che gli stavamo intorno. Un’espressione guardinga che superava le capacità di immaginazione di un uomo. L’astuzia di una forma di vita giunta da oltre i confini del nostro universo, interamente da un nuovo mondo. Una creatura piombata nel nostro tempo e spazio, consapevole di noi e di se stessa, della sua esistenza, qui fra noi; negli occhi neri e opachi roteavano, mettendo a fuoco e restando al tempo stesso sfocati, vedendo tutto e in un certo senso incapaci di distinguere la minima singola cosa.” (p. 94-95)

L’androide non come una macchina, dunque, ma come un essere più che umano, creatura di un nuovo mondo. Evoluzione dell’umano.  È impossibile per Dick fissare un confine netto e invalicabile tra uomo e macchina, c’è piuttosto un’area di confusione che anticipa assai bene tutte le discussioni attuali sul post-umano. Ma si faccia attenzione : questa incertezza è simmetrica a quella tra follia e normalità. E non è un caso. 

 

Philip Dick, Un oscuro scrutare  1977

 Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly), del 1977, è un romanzo poco fantascientifico, ma molto inquietante.

Ambientato in un futuro assai prossimo, il 1994, vede come protagonista Bob Arctor (l’assonanza con la parola actor, attore, è voluta, come si capirà) è un agente della sezione narcotici. Ha il compito di infiltrarsi tra i tossici per scoprire chi dirige il traffico di stupefacenti. E in particolare quello di una potentissima droga la sostanza M. Ma tutto il suo lavoro avviene in una sorta di totale incognito. Quando si incontra con i suoi colleghi tutti indossano una speciale tuta che nasconde completamente la fisionomia della persona. Ciò gli consente addirittura di spiare mediante delle fotocamere opportunamente piazzate, la vita di un gruppo di tossici di cui egli stesso fa parte. Egli si spia e discute di se stesso tossico infiltrato con i suoi colleghi che non conoscono la sua identità. Ciò dà vita ad una serie di equivoci tra il comico e l’assurdo.

Ma la forza straordinaria di questo romanzo non sta tanto nell’intreccio, quanto nella incredibile capacità di Dick di descrivere la mente perversa dei tossici, ossessionati, paranoici, continuamente alla ricerca di droga e disposti a tutto per ottenerla, mentitori accaniti, inaffidabili e bugiardi. Si percepisce benissimo il desiderio di Dick di mostrarci la deriva drammatica di una intera generazione che ha barattato la libertà con la dipendenza, che ha cancellato le proprie velleità di cambiamento del mondo per una pasticca e una felicità momentanea.

C’è molto di autobiografico in questo romanzo per la nota dipendenza di Dick da molte sostanze, ma anche per il suo desiderio di ricordare i tanti amici portati via dalla droga, e alla fine in una nota conclusiva acclude l’elenco con nomi e cognomi degli amici morti o devastati mentalmente  dall’abuso di sostanze stupefacenti. Dick esplicitamente rifiuta l’idea che la sua narrazione contenga una qualsiasi morale. Egli si appella piuttosto al metodo della tragedia classica: osservare in modo moralmente neutro. Tutti coloro che sono morti in fondo hanno avuto il solo torto di voler essere felici per sempre, hanno giocato e hanno perso.

Impossibile, dunque, usare questo romanzo come un manifesto contro la droga. Possiamo soltanto entrare in quel tunnel, seguire i protagonisti nelle loro discussioni incoerenti, nelle descrizioni magistrali di vicende allucinate. Di giornate folli, di un continuo inseguirsi. Per lui l’abuso di droga non è una malattia ma solo un errore di valutazione, come sbucare davanti a un’auto in corsa. Ma un errore compiuto da molte persone diventa uno stile di vita, e in questo caso, è uno stile di vita basato su un motto molto semplice:  “Sii felice perché domani morirai”, solo che si incomincia  a morire molto presto. Osserva Dick che in fondo lo stile di vita del drogato non è molto diverso da quello di tutti noi, solo è molto molto più veloce, si insegue la felicità e ci si ritrova in prossimità della morte.

“In definitiva, allora, l’abuso di droga è soltanto un’accelerazione, un’intensificazione dell’ordinaria esistenza di ciascun uomo. Non è differente dal tuo stile di vita, è semplicemente più veloce.”

Dick non può essere usato mai. Per nessuna causa. Non si presta.


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