Reso famoso da due diverse versioni cinematografiche, la prima molto approssimativa di A. Tarkovskij (1972) celebre più per la lentezza esasperante delle immagini che per la profondità de messaggio, e presentato come l'alternativa russa a 2001 Odissea nello spazio, e l'altra più hollywoodiana e poco fedele al testo di S. Soderbergh (2002), Solaris (1961) è in realtà prima di tutto un grande romanzo che offre al lettore emozioni del tutto diverse dalle riduzioni cinematografiche nelle quali si perde completamente la parte riflessiva che invece ne è la caratteristica più originale.
Sul pianeta Solaris, ai confini dello spaizo esplorato dall'uomo, giunge l'astronauta psicologo Kelvin per indagare sugli strani fenomeni che vi avvengono. I pochi ospiti della base lo accolgono con sospetto, alcuni rifiiuitano di farsi vedere. Solaris è uno strano pianeta, quasdi vivente, in grado di adattare la sua orbita. Lo ricopre interamente un mare misterioso dotato di straordinarie capacità, sa costruire isole, strutture, città, ma sooprattutto inbduce negli uomini proiezioni viventi dei loro desideri inconsci. Ed è ciò che accade allo stesso Kelvin che ritrova la moglie morta suicida annni prima. I tentativi di comprendere la natura di questo pianeta vivente falliscono miseramente. Il "contatto" al quale ambiscono gli uomini non avviene. Ma il protagonista ha l'occasione di porsi profonde domande esistenziali.
"Mi avvicinai ulteriormente all'oceano e allungai la mano verso un'onda in arrivo:l'onda esitò, si ritirò e infine mi avvolse la mano senza toccarla, in modo da mantenere una sottile intercapedine tra la superficie del guanto e l'interno della cavità, divenuto istantaneamente da fluido a quasi carnoso. Sollevai lentanente la mano: l'onda o, piuttosto, la sua esile propaggine, la seguì all'insù continuando ad incistarla in un traslucido involucro verde sporco. Mi alzai in piedi per portare la mano ancora più in alto: l'isto gelatinoso si tese come una corda ma senza rompersi, mentre la piatta base dell'onda, come una strana creatura in paziente attesa della fone degli esperimenti, ADERIVA AL SUOLO INTORNO AI MIEI PIEDI, sempre SENZA SFIORARLI."
La fantascienza di Lem diventa imitazione della scienza contemporanea se non addirittura parodia, nelle dettagliate descrizioni degli studi "solariani", oltre mille volumi di ricerca, di ipotesi e di conflitti teorici, una scienza che nel corso dei secoli ha prodotto tutto il suo linguaggio, le sue tassonomie, i suoi modelli, e può parlare con naturalezza di oggetti inesistenti, fungoidi, estensori, alberi-montagne, mimoidi, longoidi, simmetriadi, asimmetriadi, vertrebidi, agilus, ecc.
D'altra parte il vero soggetto del romanzo è a sua volta "qualcosa" che non appartiene a nessuna delle forme viventi a noi note, nemmeno a quelle finzionali, ed è per questo che la Scienza nonostante tutta la su potenza appare ioncapace di venirmne a capo. In alcuni passaggi si arriva ad alludere a un Dio imperfetto e incompleto. Ma non è più che una ipotesi. la realtà è che attraverso il mare vivente di Solaris e tutte le sue propaggini, l'uomo sembra venire a contatto con qualcosda di spaventosamente profondo, entità che precedono gli atomi, i neutrini, i quali in qualche modo rappresentano il punto di origine della materia percepta cme un continuu senza salti tra l'organico e l'inorganico: le creature alle quali si dà vita in questo modo, infatti, parlano, pensano, hanno una coscienza, mancano solo della memoria che viene dalla storia individuale che non hanno. La materializzazione della moglie morta del protagonista arriverà al punto di replicare il suicidio. La Materia, dunque, fatta di neutrini, può tradursi in montagne, in isole, o in esseri viventi pensanti. L'astronauta Kelvin in questo modo si trova di fronte al vero segreto della realtà, l'ultimo, il più profondo, il più indicibile di tutti i segreti.
Non sono molti i casi nei quali ci si trova in imbarazzo nel decidere se un libro è un romanzo o un saggio. Lem fa di tutto invece per metterci di fronte ad una ambiguità quasi indecidibile. Golem XIV infatti si presenta come un saggio, curato da due scienziati Irving Creve e Richard Popp che scrivono rispettivamente la Prefazione e la Postfazione, e pubblicato da una casa editrice realmente esistente, la Indiana University Press nel 2047. Ecco c’è questa data a metterci sull’avviso, altrimenti avremmo potuto cadere facilmente nell’equivoco. La narrazione consiste in realtà di due lunghe e complesse conferenze e delle due più brevi sezioni di presentazione prima e dopo, nelle quali è nascosta la “storia” vera e propria. Si tratta di una proiezione in un futuro a noi molto vicino, ma anche all’autore che scrive queste pagine in una prima versione nel 1973.
Dunque tutto ha inizio dalla costruzione dei super computer in grado di avvicinarsi progressivamente all’intelligenza umana. In particolare la serie Golem, arrivata alla quattordicesima versione, rappresenta il più straordinario successo della scienza e della tecnologia, perché si tratta di un elaboratore perfettamente umano, non nella forma ma nell’intelligenza e nella coscienza. È in grado infatti non solo di guidare lo sviluppo della civiltà, ma soprattutto di conversare con gli umani come se fosse uno di loro. Anzi, e qui inizia la storia vera e propria, il Golem XIV ha sviluppato una intelligenza superiore a quella umana e ne è del tutto consapevole. Si sceglie interlocutori particolarmente dotati perché non vuole discutere con intelligenze inferiori.
Il libro contiene appunto due lunghe conversazioni, di fatto monologhi di questa intelligenza artificiale che discute della natura umana, dell’evoluzione e del destino degli esseri umani.
Le discussioni toccano temi molto complessi, ma, è da notare, del tutto verosimili, sono cioè basate su questioni scientificamente valide, non su invenzioni o fantasie. Come se davvero l’Intelligenza Artificiale di Golem XIV fosse di fronte a noi e cercasse di spiegarci cose che noi non abbiamo ancora compreso. Si chiede per esempio come dobbiamo rivedere il nostro concetto di evoluzione per giustificare l’apparizione di una intelligenza artificiale superiore a quella umana. Fa inoltre notare come l’evoluzione dell’intelligenza in generale abbia avuto bisogno dell’annientamento di infinite generazioni di uomini: dobbiamo allora ammettere che il miglioramento si sviluppa dalla distruzione dello stadio precedente? Domanda pericolosa posta da una Intelligenza che si ritiene superiore a quella umana. Ma d’altra parte, fa notare, gli uomini hanno deificato il cervello, trascurando il fatto che la sua eccezionalità è da cercare piuttosto nel codice.
In generale la prospettiva di Golem XIV è unica proprio perche non è umana, è come se Lem avesse trovato il modo di raccontare l’umano osservandolo dall’esterno. Dal punto di vista di Dio.
C’è da notare che tutte le argomentazioni e le citazioni sono molto corrette sia dal punto di vista filosofico che da quello scientifico. E quindi, pur essendo in alcuni punti abbastanza oscure e di non facile decifrazione, pongono questioni che da tempo impegnano il dibattito intorno alla natura umana e al suo declino. In queste pagine, infatti, è facile trovare una anticipazione di certi temi attuali, per esempio la questione del post-umano o del trans-umano, la questione del punto di distinzione tra uomo e macchina, e del rapporto che possiamo instaurare con macchine sempre più potenti e autonome.
Una lettura non facile, dunque, inadatta a chi preferisce l’avventura e l’azione, ma sicuramente stimolante per chi invece ami anche riflettere e porsi domande universali e decisive.
Stanislaw Lem FEBBRE DA FIENO 1975
In Febbre da fieno (1975) Lem supera con un balzo le distinzioni rigide tra i generi. Il romanzo riproposto oggi da Voland con una bella traduzione di …... infatti è allo stesso tempo un giallo classico, perché c’è un cospicua serie di morti inspiegabili e la ricerca di un assassino, ma sembra anche una distopia almeno nel clima inquietante che caratterizza ogni ambiente, e un testo di riflessione.
Il protagonista è un astronauta a fine carriera, per altro affetto da una fastidiosa allergia, appunto la febbre da fieno. C’è chiaramente dell’ironia in questa scelta, come a voler mostrare un ingrediente tipico della fantascienza fuori contesto.
Egli è coinvolto in un esperimento che appare fin da subito abbastanza strano, deve ripercorrere puntualmente alcune vicende di vita di una delle vittime per cercare di comprendere come l’introvabile assassino possa aver agito. Tutto accade tra Napoli e Roma nella prima parte, e poi a Parigi nella seconda.
L’astronauta effettivamente riesce a ricostruire tutti gli spostamenti e le attività del suo alter ego, e costruisce mentalmente l’insieme delle ricorrenze che caratterizzano tutte le vittime, essere maschi stranieri a Napoli, soffrire di allergia, fare bagni termali, ecc. Vien da pensare che vi sia un serial killer che si diverte ad avvelenare le proprie vittime molto lentamente fino a portarle alla morte o al suicidio. Ma la ricerca non porta all'identificazione di alcun sospetto. A Parigi il protagonista viene associato a una intera squadra di scienziati e ricercatori supportati da un potente computer.
Solo nel momento in cui egli stesso si trova a vivere le stesse sensazioni, lo stesso “avvelenamento” delle vittime, salvandosi però in extremis, solo allora emerge il vero omicida. Che non è un essere umano ma è propriamente il Caso. Tutte le vittime infatti sono state uccise da un insieme di circostanze che si sono inevitabilmente realizzate secondo la legge statistica dei grandi numeri.
Le riflessioni di natura logica, e le considerazioni intorno al Caso e al Destino rappresentano alcune delle pagine più belle scritte da Lem che notoriamente ha una spiccata vocazione filosofica personale.
Lem è un fenomeno letterario che solo oggi ottiene tutto il riconoscimento cui ha diritto, nemmeno la realizzazione cinematografica del suo capolavoro Solaris, infatti è riuscito a strapparlo dall’ombra, probabilmente a causa del fatto di essere polacco, in un ambiente quello della fantascienza, che è stato per molti anni terreno esclusivo degli scrittori di lingua inglese.
Ma nelle sue pagine dimostra una straordinaria capacità di mescolare in perfetta sinergia gli sviluppi narrativi, gli intrecci con l’analisi e una riflessione che pone questioni di ampia rilevanza senza la pretesa di risolverle, ma costringendo il lettore ad un lavoro di riflessione personale. Non si esce da questo libro senza porsi una questione capitale: qual è il ruolo della casualità nelle vicende umane? E’ una domanda antica e per niente banale che merita ancora di essere posta.
Stanislaw Lem pace in terra 1985
Ho un debole per Stanislaw Lem, lo confesso, perché trovo che sappia, come pochissimi, coniugare una creatività stupefacente con la capacità di aprire questioni di ampio respiro filosofico, senza pontificare, senza presunzione, ma con una finezza e una profondità che trovo ammirevoli.
Così è per esempio in questo bellissimo romanzo Pace in Terra (1985).
Riassumerne la trama non è facile, ma possiamo indicare almeno tre linee narrative che si incrociano: l’umanità ha trovato un modo per liberarsi della guerra: spostare tutte le armi sulla Luna, così dunque il nostro satellite è stato diviso in settori, ogni nazione ha trasferito le armi più sofisticate e pericolose nel proprio settore. Ma accade che le intelligenze artificiali, che dovevano controllare tutto l’arsenale umano, hanno cominciato a operare autonomamente e la situazione è sfuggita a ogni controllo, nessuno sa più cosa succede sulla Luna.
Per far luce su questa situazione viene mandato in esplorazione Ijon Tichy, il quale però al ritorno non ricorda più nulla perché durante la sua missione ha subito un danno al cervello per colpa di un’arma ultrasonica, una sorta di lobotomia che separando le due parti del suo cervello le ha rese indipendenti.
Eccoci allora alla terza linea narrativa, veramente originale e ironica: il nostro si trova in una situazione schizofrenica, tutta la sua parte sinistra infatti talvolta si muove e agisce in modo indipendente dalla parte cosciente che è la parte destra. Ijon trova un modo per comunicare con l’altra parte e così assistiamo a delle divertenti situazioni in cui il protagonista tratta con se stesso per prendere delle decisioni.
Molte oscure forze circondano Ijon cercando di carpirgli quei ricordi di cui non è più consapevole per fare luce su quel che sta accadendo sulla luna. Non svelerò il finale, ma basti sapere che le intelligenze sulla Luna troveranno il modo per avvicinarsi alla Terra non per forza in modo amichevole.
Lo sfondo del romanzo è chiaramente l’epoca della corsa agli armamenti e della gara tra le superpotenze per il dominio tecnologico del pianeta. Una Guerra Fredda che è stata drammatica anche se non combattuta, ma il romanzo non ha perso oggi nulla della sua attualità anche se quella modalità di confronto internazionale è ormai sorpassata. L’incapacità delle nazioni di rinunciare davvero ai propri istinti bellicosi è ancor oggi sotto gli occhi di tutti. I conflitti aperti e le prospettive di conflitto ci mostrano ogni giorno quanto radicata e devastante sia questa propensione alla guerra di cui il genere umano non riesce a liberarsi. Saranno le macchine e le loro intelligenze artificiali diventate autonome a por fine a tutto questo?
Bello, bello bello! Scusate l’enfasi ma questo romanzo mi ha catturato fin dall’inizio. E pensare che è stato scritto nel 1958, quindi ben prima dell’epoca dell’immaginario dei viaggi spaziali, ma il polacco Lem non era solo uno scrittore fantasioso, era anche studioso molto preparato dal punto di vista scientifico, e di profonda cultura filosofica.
La trama è molto semplice: una spedizione di sei uomini, il Coordinatore, il Dottore, l’Ingegnere, il Fisico, il Ciberneta, il Chimico, precipitano con il loro razzo in un pianeta sconosciuto, Eden. Qui trovano le tracce di una strana civiltà, molto diversa da quella umana. Cominciano allora i tentativi di contatto mentre si lavora alacremente a rimettere in funzione il razzo e ripartire.
Gli abitanti del pianeta sono esseri particolari, innanzi tutto perché sono doppi, ogni individuo è in realtà duplice, un Bicorpo, due esseri inseriti uno nell’altro. Esplorando il pianeta incontrano vegetali/animali mai visti, fabbriche di oggetti misteriosi, fossati pieni di cadaveri, cupole, statue giganti, immagini di morte, un ambiente spettrale, si scoprirà poi, quando finalmente si riuscirà a comunicare con uno di quegli esseri che la civiltà dei Bicorpi ha compiuto complessi esperimenti genetici, spesso falliti, che ci sono conflitti interni, insomma non si tratta affatto di un paradiso, come il nome Eden sembrerebbe suggerire.
Molto interessante nella narrazione è la questione del punto di vista: gli scienziati che compongono la spedizione si chiedono spesso ragione di ciò che via via vedono e incontrano, cioè si chiedono se nell’interpretare una civiltà totalmente sconosciuta non stanno facendo altro che applicare e sovrapporre categorie umane (troppo umane), e quindi fuorvianti.
La decisione di indicare i personaggi solo distinguendoli per competenza - non compaiono mai infatti i loro nomi - è significativa: qui è in questione la capacità della scienza in tutte le sue forme di porsi le questioni fondamentali, e di affrontare l’ignoto, lo sconosciuto, il totalmente altro. Una tematica davvero originale per gli anni ’50 che ci mostra, secondo me assai bene, l’attualità dell’opera di Lem. La critica ha sottolineato anche in relazione a questo romanzo il fondamentale pessimismo dell’autore il quale sembra volerci dire che è impossibile comprendere davvero l’altro. Ma io sono invece propenso a pensare che l’autore voglia mostrarci un fatto molto più semplice: che nell’universo ci sono tante nature diverse, che la diversità è il cuore stesso del reale, e che il sogno di riportare tutto a una uniformità artificiale e immediatamente comprensibile per noi, è ingenuo e irreale. Non dimentichiamo mai che Lem scrive dalla prospettiva di chi sta nella parte orientale dell’Europa in un’epoca in cui la guerra fredda contrappone gli esseri umani come se si trattasse di specie diverse in pianeti diversi. Eppure gli scienziati di Lem, che nella scienza ha fiducia, riescono a trovare un modo di comunicare, e quindi conoscere anche se non sempre questo significa comprendere.
Alla fine del romanzo gli astronauti riprendono il loro viaggio e osservano il pianeta Eden da lontano: “Per un certo tempo nessuno parlò. Eden si allontanava.
«È splendido!» disse il Coordinatore, «Ma… sai? Secondo il calcolo delle probabilità ce ne sono altri ancora più belli.»”
Stanislaw Lem IL PIANETA DEL SILENZIO 1986
Bellissimo romanzo, anche se caratterizzato da un salto narrativo molto evidente tra la prima e la seconda parte, un salto poco giustificato, quasi che si trattasse di due romanzi messi insieme un po’ alla meglio. Nel complesso il testo risulta di lettura talvolta faticosa soprattutto quando si dilunga, e accade spesso, in ipotesi e ragionamenti, sempre molto verosimili ma non altrettanto funzionali a uno scorrevole svolgimento della narrazione.
D’altra parte Lem può vantare una preparazione tecnica di alto livello e una conoscenza non superficiale della Teoria dei Giochi, e non esita a sfruttare queste conoscenze mettendo il lettore nella situazione di verificare il peso e la complessità di ogni decisione assunta dai protagonisti.
Nella prima parte ci troviamo su Titano, un satellite di Saturno, in una missione di soccorso. Tre uomini si sono persi mentre esploravano l’inospitale pianeta a bordo di un Diglas, cioè un grande automa meccanico del peso di 2000 tonnellate. Il protagonista, anch’egli servendosi dello stesso mezzo, constata la morte dei tre uomini in mezzo a delle stranissime concrezioni di sali di ammoniaca. Ma resta a sua volta coinvolto in un incidente e per salvarsi è costretto ad azionare il Vitrifax, una macchina che congela istantaneamente l’organismo racchiudendolo in un contenitore sicuro.
Dopo alcune centinaia di anni, il corpo congelato viene recuperato, e si decide di riportarlo in vita ma ciò è possibile solo servendosi degli organi degli altri tre corpi. Il protagonista si risveglia lentamente ma senza alcuna memoria. Le pagine del risveglio sono tra le più suggestive e originali del libro e ricordano, lo dico per i filosofi, il Trattato delle sensazioni di Condillac oppure la Fenomenologia dello Spirito di Hegel.
Al suo risveglio comunque il nostro protagonista, con la coscienza ridotta a una tabula rasa, non è in grado di stabilire la propria identità, né d’altra parte sono in grado i medici che lo hanno salvato, così si decide di assegnargli un nome a caso e allora diventa Mark Tempe.
Viene scelto per far parte di un equipaggio impegnato nel prendere contatto con una lontanissima civiltà della quale si sono captati alcuni segnali. Si tratta del pianeta Quinta.
Da questo punto si sviluppa la seconda parte del romanzo nel corso della quale l’equipaggio della navetta cerca di entrare nella limitata finestra di contatto con questa civiltà tecnologica aliena sfruttando i paradossi temporali di un buco nero.
Quinta è un pianeta azzurro circondato da un anello artificiale di ghiaccio probabilmente creato per ridurre gli oceani e aumentare la superficie asciutta, ma al contempo è evidente che il progetto è stato interrotto da qualche evento interno, probabilmente una guerra.
Il tentativo di atterrare sul pianeta per prendere contatto fallisce perché gli alieni attaccano la sonda. Tuttavia non si vede anima viva sulla superficie del pianeta. Ha inizio dunque un lungo dibattito su come contattare i quintani e convincerli delle buone intenzioni della missione, ma ci si rende conto che il pianeta si trova alla fine di una drammatica escalation di guerra interna e di corsa agli armamenti. La missione si trova così coinvolta suo malgrado in un conflitto aperto. Ma dopo aver distrutto la luna di Quinta costringono i quintani ad accettare il contatto. Tempe, il protagonista iniziale, viene fatto scendere dunque sul pianeta. E finalmente potrà vedere gli alieni che però appariranno del tutto diversi da ogni forma immaginabile.
Il testo, secondo me, è ricco di fascino e, anche se molto lungo, oltre quattrocento fitte pagine, è assai coinvolgente. Soprattutto se non ci si lascia spaventare dalle lunghissimo disquisizioni per esempio intorno alla questione assai complessa del contatto con gli alieni, che pone grossi interrogativi sia pratici che di natura etica. C’è in controluce anche una mozione critica. Il pianeta Quinta ricorda infatti la nostra Terra dilaniata da guerre intestine e impegnata ancor oggi in una folle corsa agli armamenti che non può che avere conseguenze nefaste. Da questo punto di vista il romanzo, che è stato pubblicato nel 1986, sembra scritto oggi.
Se avete tempo e pazienza e interesse per le questioni che riguardano il futuro del nostro pianeta allora vi consiglio una lettura attenta di questo capolavoro.
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