lunedì 7 ottobre 2024

Antropologia e fantascienza

 


Antropologia e fantascienza, «Rivista di antropologia contemporanea», 1, 2023, Bologna, Il Mulino.

 

Curata da Fabio Dei, Fabiana Dimpflmeier e Francesco Vietti, questo numero della rivista è veramente una lettura proficua e stimolante per chi si occupa di fantascienza. È una bellissima raccolta di saggi, ben selezionati e ben curati, che si assume il compito di gettare un ponte tra fantascienza e antropologia, e insieme suggerisce i punti ove tale intersezione tra le due discipline è già operativa. Tale legame, infatti, è già evidente in molti scrittori di fantascienza ma, scopriamo, anche tra molti studiosi antropologi vi è una speciale sensibilità per la scrittura fantascientifica. Perché la fantascienza anche se rischia spesso di cadere nello stereotipo o nella commercializzazione banalizzante, consente, quando è grande letteratura, l’accesso a una dimensione altra che, talvolta si nasconde dietro il quotidiano e che altrimenti sarebbe assai arduo rinvenire.

Per la fantascienza il riferimento di partenza è probabilmente il Micromegas di Voltaire (1752) che rappresenta il tentativo di leggere l’umano da una posizione esterna, che è poi lo stesso lavoro dell’antropologo. D’altra parte la realtà di oggi ci chiama a riflettere sul destino presente e futuro dell’umanità, anche  di fronte a gravi crisi (la pandemia, la crisi climatica, le guerre) e l’approccio razionale, talvolta risulta insufficiente, serve anche un approccio creativo come quello che può fornire la fantascienza.

 

Ma vediamo più nel dettaglio il contenuto del volume.

Dopo l’editoriale dei curatori (“Le meraviglie del possibile. Antropologia e fantascienza”) troviamo il saggio di Fabio Dei “La fantascienza, il meraviglioso e il terrore della storia. Variazioni demartiniane”. Dei analizza l’interesse del grande antropologo Ernesto De Martino per la fantascienza soprattutto alla luce dell’incompiuto saggio sulla Fine del mondo. La fantascienza appare al grande studioso, un riferimento essenziale, sia come prospettiva politica rispetto al futuro utopico o distopico, sia soprattutto come mito che sostituisce i miti tradizionali nella cultura di massa (occupando così il posto del mondo cavalleresco, di miti e fiabe popolari, di storie e immagini religiose). In questo senso la letteratura di fantascienza sarebbe una forma di apertura di fronte al terrore della Storia e al rischio della perdita di significato.

Segue il saggio “Mondi (im)possibili. Le narrazioni apocalittiche nella fantascienza” di Franco Lai. L’autore cerca di riscattare la letteratura di fantascienza dallo stigma di letteratura  di massa, di prodotto puramente commerciale. In realtà al suo interno ci sono anche opere di valore. In particolare le narrazioni apocalittiche hanno in comune un contenuto critico rispetto allo sviluppo tecnologico e sociale dell’umanità che merita di essere preso in considerazione. Perché attraverso queste narrazioni si  esprimono le inquietudini  diffuse nella società. Cita Al-Khalili, Shute, Glukhosky, Ballard, Harrison, Stanley Robinson, Stewart, Reynolds, Atwood, Finnery, Lewis, Le Guin. Le narrazioni apocalittiche datano dalla fine dell’800 e percorrono tutto il ‘900 sotto l’influsso di scoperte scientifiche, mutamenti sociali, innovazioni tecnologiche. Raccontano scenari improbabili che però consentono una ispezione del presente e una lettura del futuro. L’immaginario apocalittico del nostro tempo, rispetto ai millenarismi antichi, non prevede reintegrazione o possibile salvezza o riscatto, ma solo il rischio come tale. Apocalissi senza escaton, dunque come già aveva intuito De Martino. 

Segue il saggio “Solo questione di tempo. La fantascienza e il futuro del trans umanesimo”, di  Federico Scarpelli il quale ci indica come il transumanesimo riveli un immaginario sociale diffuso che trova nella fantascienza una sua proiezione efficace. Caratterizzata da un ingenuo ottimismo rispetto l’evoluzione tecnologica, letta sempre come positiva. Nota, inoltre, il legame tra transumanesimo e fede religiosa, trasparente anche nel tentativo di “risolvere” il problema della morte.

Lorenzo Urbano si occupa del tema della libertà individuale e quindi del libero arbitrio e dei condizionamenti che ci spingono ad agire nel saggio “La responsabilità e il multiverso. Etica, azione, libertà tra Ted Chiang e Alcolisti Anonimi”.

Seguono alcuni stimolanti saggi in lingua inglese: ”Dissecting Aliens, Imagining Futures. Rethinking the 1995 Roswell Autopsy Video Hoax” di  Marco-Benoît Carbone e “Science Fiction’s Emergent Anthropologies. SF Beyond Anthropological Science Fiction, Samuel Gerald Collins. A matter of world-building.” Una conversazione con Amitav Ghosh.

Francesco Vietti in “Antropologia solarpunk. Fantascienza, ambienti urbani e pratiche di sopravvivenza collaborativa” sottolinea come la letteratura speculativa urbana sviluppata dal modello solarpunk abbracci temi quali la disuguaglianza e la sostenibilità e trovi molta consonanza con il lavoro sviluppato al Mufant (il Museo del Fantastico e della Fantascienza di Torino). Tesi dell’autore è che fantascienza e antropologia stanno ormai percorrendo un terreno comune e l’incontro è inevitabile e arricchente per entrambe.

Conclude questo bel numero della rivista una interessante analisi dal titolo “Etnografie di mondi possibili: la fantascienza di Ursula K. Le Guin”, di Cristiana Natali che fa il punto sulla scrittrice che ha il merito di aver rotto il pregiudizio patriarcale della fantascienza classica, anche nella convinzione che in fondo la fantascienza è una forma di antropologia.

A coronamento di tutto il lavoro le ultime pagine sono dedicate a una intervista davvero interessante: “Un desiderio di altrove: una conversazione con Wu Ming” anche a partire dal romanzo UFO78 dove la protagonista, non a caso, è proprio una antropologa. Wu Ming sottolinea il contenuto politico di ogni scrittura fantastica in quanto espressione di un desiderio di altrimenti, di un diverso modo di vivere e di pensare la società. Non quindi facile escapismo ma piuttosto impegno intellettuale. Del resto nel lavoro di “fare mondi” c’è sempre, al di là della volontà dell’autore, un risvolto politico.


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