Voltaire Micromegas 1752
Il filosofo illuminista in lotta contro l’oscurantismo e la superstizione religiosa, si riposa cedendo al piacere della letteratura, del racconto, della creazione. Nasce così questo Micromegas (1752). Un testo che deve essere considerato tra i precedenti storici della letteratura fantastica, e per questo merita ancora la nostra attenzione.
Il breve romanzo nasce mentre Voltaire sta studiando il lavoro di Newton, e non è un caso: l’Universo, infatti, appare libero dalle gerarchie tradizionali e dalle distinzioni tra umano e divino, e si presenta piuttosto come un unico organismo, perfettamente organizzato, e rispondente ad alcune leggi universali (come quella della gravitazione).
La narrazione, è chiaro, usa le vicende fantastiche come materiale critico rispetto alla stoltezza e alla miseria dell’umanità, come accadeva già nel modello di Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver (1726).
Già il titolo, un neologismo che esprime un potente ossimoro: l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande (Micro e Mega) sono le due dimensioni con cui l’uomo si confronta e sono ironicamente relative, dipendenti, l’una dall’altra. Perché l’Altro, l’inaspettato, non risponde necessariamente alla categorie umane alle quali siamo abituati.
La vicenda narrativa è molto semplice: su uno dei pianeti della stella Sirio c’è un abitante, di nome Micromegas. È un gigante alto otto leghe, è uno studioso, e viaggia per i pianeti allo scopo di arricchire le sue conoscenze spostandosi grazie a un raggio di sole oppure una cometa. Giunge così su Saturno e qui familiarizza con gli abitanti del pianeta anch’essi giganti ma nanerottoli rispetto a Micromegas.
In compagnia proprio di un abitante di Saturno, Micromegas inizia un viaggio che toccherà Giove, Marte e finalmente la Terra. Dove sbarca il 5 luglio 1737.
I due viaggiatori fanno il giro del globo, essendo però troppo grandi i loro occhi non vedono gli abitanti del pianeta, troppo piccoli rispetto a loro, e pensano che nessuno possa vivere in un luogo tanto strano, irregolare, caotico, pieno di laghi, mari, fiumi, montagne, pianure. Poi però, usando dei diamanti come lenti di ingrandimento, s’accorgono di un abitante: una balena. All’inizio pensano che siano queste, le balene, gli abitanti del pianeta, solo dopo un po’ scoprono uno strano oggetto, una nave, per la precisione quella che ha portato una spedizione al Polo per verificare l’ipotesi newtoniana dello schiacciamento dei poli ( evento realmente accaduto nel 1736, la spedizione era guidata da Pierre Luis de Maupertuis).
Con fatica riescono ad ascoltare le voci dei minuscoli – per loro – uomini che sono a bordo della nave. Scoprono così che gli umani hanno pensieri e anima, per quanto possano essere, o apparire, piccoli rispetto a Micromegas.
Vengono anche a sapere della follia della guerra che caratterizza l’umanità in tutta la sua storia. E che anche tra i più saggi, i filosofi, gli scienziati, non c’è meno pazzia: ognuno ha opinioni diverse, per esempio sull’anima, o sulla materia. E citano chi Aristotele, chi Cartesio, chi Leibniz, chi Locke. Cosa fanno allora gli uomini più colti? Risponde l’umano: “Sezioniamo mosche, misuriamo linee, raduniamo numeri, andiamo d’accordo su due o tre punti che comprendiamo e litighiamo due o tremila che non comprendiamo.” (p. 69 dell’edizione Rizzoli 1996).
Micromegas rappresenta benissimo, con ironia e sottigliezza, il fatto che l’uomo per parlare di se stesso ha bisogno di un punto di vista esterno, che gli viene offerto proprio dalla letteratura di fantascienza. E che deve liberarsi dello stupido orgoglio di chi pensa che il mondo sia fatto a sua immagine e somiglianza.
STEFANO ZAMPIERI
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